Anno 2021, Milano.
Fino a poco tempo fa ci raccontavamo di come avremmo difficilmente dimenticato il 2020, anno che è stato segnato da una pandemia mondiale (forse) senza precedenti. Ma sarebbe stato troppo facile così: sicuramente ci ricorderemo anche del 2021, e con molta probabilità della crisi del 2022 e chissà cos’altro. Serve sangue freddo, e tanto.
Se da un lato c’è la malattia che fa paura, dall’altro c’è l’instabilità delle nostre vite. Il lavoro, le relazioni sociali, gli affetti e il futuro sono solo alcuni aspetti che abbiamo dovuto sacrificare. Ho sempre sentito dire che le specie della terra sanno evolversi, che ogni essere vivente ha nel proprio Dna l’istinto di sopravvivenza ed è proprio questo che comporta il mutamento delle specie. Certo è vero però che le evoluzioni genetiche si sviluppano in centinaia di anni, non in un lasso di 12 mesi…. ahimè tocca accelerare se vogliamo uscirne con meno danni possibili, se non evolviamo fisicamente almeno diamoci una mossa per un’evoluzione mentale…

Fino a qualche mese fa ho sempre considerato questa pandemia sotto un altro aspetto, ossia quello di una possibilità per riscoprire noi stessi, le nostre fragilità, quello che vale veramente. Un’occasione che ci è stata concessa, chiaramente con un enorme sacrificio (di vite umane), ma che non deve proprio per questo motivo esser sprecata.
Difatti mi sento di non aver sprecato tanto, ho rimesso in discussione tutta la mia vita, ho ripreso vecchie passioni abbandonate per chissà quale assurdo motivo, ho lavorato su me stesso al fine di essere più consapevole della mia persona e del mio modo di vivere. Ho anche studiato molto, mi sono buttato nell’affrontare nuove sfide, ho raccolto piccoli successi e ho affrontato faccia a faccia la solitudine. Ho fatto un lavoro temporaneo che mai avrei pensato di fare, ho chiacchierato con le mie paure, ho conosciuto persone che mi hanno dato nuova linfa vitale. Insomma Luca ci ha dato dentro di brutto in questo 2020, altro che starsene con le mani in mano. Ero molto carico e pronto a ripartire in questo 2021. Se sono qui a scrivere queste righe però, è perchè qualcosa in questo piano d’azione non è andato a buon fine. Che poi sia colpa degli indisciplinati o dei politicanti maldestri o del disegno del Signore chi lo sà, ma ora quella scintilla che sentivo dentro si è fortemente affievolita…
Non mi spaventa questa cosa, è normale, la vita è fatta di alti e bassi, e in 38 anni ne ho vissute abbastanza per capire come muovermi tra queste montagne russe. Mi spaventa più non avere il controllo. Sì, perchè ad oggi la percezione generale è quella di essere su un tronco di legno alla deriva verso una cascata profonda, e non è una sensazione piacevole. Lo si legge un po’ ovunque che c’è una forte depressione collettiva, ma noi italiani siamo un po’ bigotti su questa cosa e ci si vergogna persino di ammettere quando si ha bisogno di aiuto psicologico. C’ero stupidamente anche io tra questi, e mi sono ricreduto solo dopo essermi fatto assistere per un periodo.

Sul fronte lavorativo questa pandemia ha innescato molte perplessità in me, dubbi che si radicano sia nel mio modo di pormi come professionista, che nel mio prodotto, ma anche alla relazione difficoltosa che ho con il mondo che circonda questo ambiente. Se c’è una cosa che ho sempre saputo è che ho scelto la libera professione per lavorare secondo i miei schemi, secondo le mie politiche, seguendo i miei valori e principi. Un idea ambiziosa lo so, ma queste erano le condizioni per sentirmi realizzato. Lo studio Lucarossifoto esiste da fine 2015 quando ho deciso di aprire la partita iva e in pochi anni di attività ho capito e imparato un’enormità di cose.
Innanzitutto ho realizzato che la strada per un obbiettivo non è sempre rettilinea, che alla meta ci si può arrivare in molteplici modi, e che talvolta si può incappare in errori e sbagliare, ma l’importante è andare sempre avanti. Un’altra cosa fondamentale che ho appreso, è che il proprio pensiero non è universalmente riconosciuto e apprezzato. Questo significa che può quello che fai non piacere, può non essere una buona strategia a livello di business, e che tutte queste cose, se decidi di andare avanti, devi saperle sostenere sulle tue spalle. Anzi devi farne tesoro direi.
Tutto quello che ho scritto fino ad ora è solo una premessa, perchè oggi voglio sfogarmi un po’, voglio manifestare i miei pensieri, e raccontare le riflessioni su come questa serie di cose stia cambiando o potrebbe cambiare il mio approccio alla fotografia.
Il rifiuto dell’ambiente dei fotografi
Come dicevo poco sopra ho sempre avuto un problema a relazionarmi con la maggior parte dei colleghi fotografi, non per invidia, ne tantomeno per scarsa stima, ma solo perché molti sono diametralmente diversi da me. Non parlo solo dei professionisti, ma parlo proprio “dell’uomo fotografo”, quel soggetto che non curante sfrutta l’arte della fotografia per nutrire il proprio ego, mancando tremendamente di rispetto ad una disciplina centenaria. Nel variopinto mondo della street ad esempio, fatto di talenti e figuranti, si possono assistere a molte liti tra questi personaggi. Spesso costoro hanno alle spalle anche delle produzioni di tutto rispetto, ma dimostrano la loro fragilità non appena vengono messi in discussione e crollano lasciandosi trascinare in risse da bar in stile Bud Spencer e Terence Hill. Talvolta io osservo questi fatti e cerco di non farmi contagiare da simili atteggiamenti, ma mandare giù il rospo senza dire nulla mi fa fare inevitabilmente un passo indietro da quell’ambiente, arrivando quasi a detestare tutto l’entourage che partecipa a questi “show”.

Una realtà diversa ma alla quale mi pongo in modo molto simile è quella dell’industria del wedding, dove generalmente a prevalere sono le tattiche commerciali che giustamente dettano le regole. L’ego dei fotografi è sempre molto presente, ma solo poche volte questo supera gli interessi economici. Vorrei fare una premessa: io sono per il libero mercato, credo che ognuno possa fare ciò che vuole in totale libertà. Nonostante questo il mio disappunto verso l’ambiente del wedding deriva sempre dai miei valori di cui non riesco proprio a sbarazzarmi, che sono alla base degli insegnamenti che ho ricevuto. Questi atteggiamenti e modi di fare difficilmente si “sposano” (gioco di parole più che azzeccato) con i miei principi, con il mio modo di concepire il mondo del lavoro. Come titolare dello studio che porta il mio nome ho scelto di non collaborare con wedding planner per essere il più slegato possibile da questo meccanismo. Non mi piace l’idea che qualcuno proponga il mio studio solo per il proprio tornaconto personale economico pittosto che per l’esclusività del mio prodotto, e tutti sanno che le realtà dei wedding planner è spesso caratterizzata da favori economici grandi e piccoli che regolano gli accorti tra i fornitori. I fotografi di matrimonio sono molto numerosi, ed è veramente raro trovare qualcuno che proponga qualcosa di diverso, e quando accade non è detto che una visione differente trovi spazio per emergere. I giovani fotografi che leggeranno questo articolo avranno già ben chiaro quanto sia difficile e costoso entrare nelle grazie di una buona wedding planner (ovvio, non sono tutte uguali, c’è sempre qualche rara eccezione).
Per fortuna però anche tra i fotografi ci sono le eccezioni. Persone genuine, umili, che costruiscono la loro figura con sodo lavoro, che sanno farsi apprezzare come persone prima e come fotografi poi. Sono queste le persone di cui amo circondarmi, non sono molte, ma come si dice meglio pochi ma buoni.
In realtà durante questo anno di stop forzato ho riflettuto molto su queste considerazioni che mi hanno portato a scontrami con l’ambiente in cui IO ho scelto di stare, e più volte mi sono domandato se fosse giusto che io mi ostinassi a perseguire la mie etica. Lo dico senza falso pudor: ho ragionato in termini economici a livello di business sopratutto, perchè il mercato se ne fotte dei miei valori. Ma dopo lunghe riflessioni se sono qui a parlarne è perchè ho scelto di andare avanti seguendo quello che sono.
La comunicazione per immagini e l’astinenza

In tutto ciò mi sento in astinenza. La fotografia mi ha sempre creato dipendenza, ma ciò di cui parlo però non è un desiderio non relativo all’atto del fotografare, quanto più quella dell’usare le immagini per comunicare. Sebbene mi manchi fotografare c’è però da dire che non riesco a trovare spunti per farlo: in un anno come questo ho esaurito le cose da raccontare, ho perso l’interesse nel farlo, ho perso interesse nelle cose quotidiane.
Pochi giorni fa parlando con la mia counselor abbiamo toccato un tasto molto delicato della fotografia, e dato che questa inevitabilmente rispecchia il mio stato d’animo. Non so come riuscirò a superare (che poi superare sia la parola giusta è tutto da vedere) questo blocco/rifiuto che sento nel continuare a fare quello che ho sempre fatto. Magari arriverà un momento in cui, per esempio con il ritorno dei colori primaverili (sono meteoropatico), rifiorirà in me questo interesse nel catturare frammenti di vita e la voglia di condividerli con le altre persone attraverso le fotografie.
Quello di cui sono certo è che quando questo momento si presenterà sarà travolgente, potentissimo, ricco di vita come non mai. Credo fortemente che la mia espressione fotografica sarà un flusso di coscienza che porterà con se tutti i frutti delle riflessioni fatte in quel maledetto 2020 e durante i mesi bui del 2021. Sarà una visione ancora più concreta e radicata del mio pensiero, rispecchierà ancora meglio il mio sguardo verso il mondo che mi circonda. Potrà essere meno critica, meno radicale, ma forse più creativa, più ricercata e più personale…. di sicuro dentro ci sarà più Luca di quanto mai ci sia stato prima.
Quello di cui sono certo è che non ho voglia di smettere di fare il fotografo, nonostante le difficoltà che dovrò attraversare, ho sicuramente ancora molto da dare e tantissime persone ancora hanno molte aspettative su me che non voglio assolutamente deludere.