The Color Pursuit: a caccia di colori
Introduzione di Marta Di Stefano, Sociologa.
L’identità cromatica delle città contemporanee: Le città come noi le conosciamo sono il frutto dell’urbanizzazione, ovvero quel processo di spostamento in massa della popolazione proveniente dai centri rurali; fenomeno antico, è solo durante il diciannovesimo secolo che assume quel carattere distintivo che definirà la società moderna. È proprio la Seconda Rivoluzione Industriale infatti, che si sviluppa dalla seconda metà del 1800, ad essere determinante per questo fenomeno, che si diffonderà in Europa e in America in concomitanza della nascita dell’industria. Il mutamento economico favorevole all’industrializzazione porterà velocemente la popolazione ad abbandonare le campagne, per raggiungere i centri urbani che nascono intorno alle fabbriche bisognose di manodopera; questa concentrazione di masse di proletariato presso i luoghi in cui sorgono le industrie ha favorito lo sviluppo del tessuto urbano grazie alla crescente necessità di servizi come alloggi, trasporti, scuole, banche, edifici religiosi e amministrativi che definiranno le città nella loro connotazione contemporanea. La città diventa in questo modo uno spazio fisico storicamente e culturalmente definito, che riflette le caratteristiche identitarie della società, identità che come abbiamo detto è legata allo sviluppo industriale ed economico. Lo spazio infatti è una delle dimensioni, insieme al tempo, che definiscono l’espressione collettiva della realtà; ogni società determina una propria rappresentazione dello spazio mediata dall’esperienza, che nella società moderna (e post-moderna) è subordinata alla tecnologia e alla fiducia nel progresso. Ciò si riflette nell’urbanistica, vista come uno strumento che ha lo scopo di plasmare lo spazio urbano sui principi di razionalità ed efficienza tipici dell’industria. Così, come sostenuto da Massimo Cacciari le città, ormai divenute metropoli, rappresentano “la forma generale che assume il processo di razionalizzazione dei rapporti sociali… che segue quello della razionalizzazione dei rapporti produttivi”. La città ha perso il carattere antropocentrico tipico delle comunità rurali, divenendo una “stinta metropoli”, nelle parole di Pasolini, un luogo dove i rapporti sono distaccati, freddi e grigi come le fabbriche intorno alle quali è sorta; e se nel celebre saggio di Goethe il colore svolge un’“azione sensibile e morale”, è comprensibile come il grigio dei materiali da costruzione si rifletta sullo stato d’animo dei cittadini. Figlia della società industriale, quella post-moderna (o postindustriale appunto), è nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e si è sviluppata negli ultimi decenni intorno al mutamento economico che ha visto la popolazione sempre meno impiegata nelle fabbriche a favore delle attività terziarie; in particolare lo sviluppo tecnologico e soprattutto delle tecnologie informatiche sta plasmando la società contemporanea, che ha ereditato dalla precedente forma l’idea di razionalità, standardizzazione e prevedibilità. È la società dei brainworkers, individui fissi davanti agli schermi grigi dei computer; il grigio infatti, da colore tipico delle fabbriche rappresenta oggi il colore per eccellenza dell’informatica e del business, grazie al suo carattere freddo neutrale e razionale. Vediamo quindi come il colore possa assumere una forte valenza simbolica, ed ha da sempre svolto un ruolo importante nelle varie espressioni culturali (basti pensare al bianco simbolo della purezza o il nero sinonimo di lutto, per arrivare alla più recente attribuzione di qualità femminili al colore rosa e maschili all’azzurro), e secondo il teorico del design Riccardo Falcinelli esso non è solamente un attributo delle cose, ma anche “una categoria psicologica che esiste insieme al modo di produrlo, di diffonderlo e di narrarlo”. Ciò significa che la nostra conoscenza ed esperienza del colore sono legate a pratiche sociali, culturali e tecnologiche storicamente determinate, e per ciò “le idee cromatiche della società industrializzata hanno una cosa in comune: sono tentativi di razionalizzare il colore”. Osservando le città del passato si può notare come per un lungo periodo il colore ne abbia rappresentato un elemento identitario molto forte (pensiamo ad esempio al rosso di Siena o alla variopinta Venezia); la logica razionalista della società industriale ha invece escluso la presenza del colore nelle costruzioni cittadine, come a voler allontanare dal tessuto sociale il suo carattere decorativo, emotivo e volubile. Il colore risulta assente nei progetti urbanistici delle città contemporanee, che appaiono quindi prive di un’identità cromatica propriamente urbana, legata cioè alle sue costruzioni ed edifici. Eppure, sprazzi di colore si possono scorgere in città; pensiamo ad esempio alle scelte cromatiche degli outfit (più o meno eccentrici) sfoggiati dai cittadini, o alla Street Art, quell’insieme di pratiche artistico-visuali che spezzano la monotonia del grigio del tessuto urbano. Queste elencate sono pratiche espressive puramente individuali, che sembrano rivendicare un bisogno umano di colore che emerge in contrasto alla neutralità cromatica metropolitana. Ma nelle città il colore si dimostra vero protagonista nelle insegne dei negozi e sui cartelloni pubblicitari; pensiamo a Coca-Cola, Facebook e Starbucks: sicuramente la prima cosa che ci salta alla mente è Rosso, Blu e Verde, il colore predominante dei loro loghi. Nelle strategie di marketing infatti viene riservato un ruolo di primo piano alla scelta del colore, perché questo risulta fondamentale per rappresentare la cosiddetta Brand Identity; le grandi società sfruttano il potere evocativo del colore per legare il proprio brand ad un’emozione che rende possibile l’immediata riconoscibilità del marchio, e quindi la fidelizzazione del consumatore. Siamo difatti ormai passati alla fase consumistica della società capitalistica, in quanto è proprio il consumo che definisce e caratterizza le società contemporanee; se nella fase industriale, infatti, l’identità sociale degli individui era determinata dal lavoro (l’ambito in cui per secoli si sono sviluppate le relazioni sociali) oggi è sempre più definita dalle pratiche di consumo. Proprio nel consumo l’individuo oggi esprime a pieno la sua identità; è l’homo consumens di Bauman, per il quale l’unico obiettivo è la gratificazione dei desideri, e consumare diviene un “principio etico”. Vediamo come la metropoli diviene ancora una volta il teatro in cui avviene il mutamento sociale, ed è così che le città contemporanee si riempiono di rosso, blu, verde, giallo e arancione, i colori preferiti dai brand per veicolare il loro messaggio, che spiccando tra il grigio degli edifici catturano inevitabilmente lo sguardo del cittadino, per quanto questo sia svogliato, indaffarato, distratto. Riferimenti bibliografici -Bauman Z., Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Trento, Edizioni Erickson, 2007 -Cacciari M., Metropolis. Saggi sulla grande città di Sombart, Endell, Scheffer e Simmel, Roma, Officina Edizioni, 1973 -Falcinelli R., Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2017 -Goethe J.W., La teoria dei colori, Tubinga, 1810 -Pasolini P.P., Le Poesie, Milano, Garzanti, 1975
Color Pursuit nasce da un bisogno interiore, da un esigenza di riscoprire i colori e le sensazioni che mi danno.
Sono nato e cresciuto tra i palazzi e vie trafficate, abituato da sempre a muovermi tra i fitti palazzi grigi che disegnano con le loro ombre diagonali figure astratte, che sembrano quasi delineare un netto confine tra vita e morte.
Di città ne ho vissute diverse in Italia e all’estero, ma negli ultimi anni ho avuto un esigenza di evadere da questi spazi spesso angusti e ho scelto quella natura che si trova subito fuori il perimetro della tangenziale.
Di conseguenza ho perso quell’abitudine nel vivere la città e quando torno anche solo a passeggiare tra i palazzi, i miei occhi vedono cose nuove che in fondo erano sempre state li , tra quelle cose che ero sempre abituato a vedere.
Così ho cominciato ad osservarmi intorno alla ricerca di qualcosa di appagante a livello visivo, ma quello che ho trovato è stato solo grigio calcestruzzo.
Ripensando a quando ero piccolo e anche grazie alle vecchie fotografie, ho notato come i colori nel paesaggio urbano sembravano svaniti.
Auto sempre più metallizzate, insegne al neon sostituite da schermi abbaglianti, palazzi storici che lasciano il posto a strutture di cristallo, anche le persone si sono negli anni sempre più desaturate, assumendo colorazioni fredde tipiche dello stile contemporaneo, perdendo così ognuno il proprio carattere, e appiattendo il contrasto cromatico con il grigio del cemento, con l’inevitabile fine di rendere tutte le cose molto simili, quasi indistinguibili.
Da una ricerca su internet ho trovato un articolo che diceva:
Riccardo Falcinelli, autore di Cromorama commenta: «Una fitta coltre di conformismo avvolge le nostre scelte nell’arredo della casa, nell’acquisto di suppellettili, persino nel vestire. Una volta la vera eleganza era colorata, basti pensare alle decorazioni variopinte nei palazzi nobiliari tra Ottocento e i primi del Novecento. Oggi il colore “deciso” è quasi temuto, tanto è vero che sopravvive nei territori anticonformisti dell’alta moda o nell’abbigliamento eccentrico di certe famiglie reali.»
Una volta presa coscienza di questo, con uno stato d’animo tarato sulla scala di grigi, incominciai a fare delle passeggiate, quasi quotidianamente, per Milano. Così è nata alla fine ricerca di sprazzi di colore, attraverso le fotografie di strada.
Ero guidato da fonti di colore, oggetti, palazzi, insegne, ma anche persone, elementi e riflessi…scattavo per catturare e immortalare tutte quelle cose che emanavano personalità e vita in un mare di grigia tristezza.
Luca Rossi, 2018

Questa ricerca che è stata resa possibile grazie anche ai miei studi, da ex-disegnatore, sui colori e i loro abbinamenti; accostamenti tra primari e secondari , colori complementari e divergenti, sono di fatto conoscenze intrinseche che gli anni da designer mi hanno lasciato dentro.
Le fotografie sono proposte in dittici perchè ciascuna è complementare all’altra.
Le immagini selezionate sotto sono frutto di 4 editing diversi, aiutato da colleghi stimati, e delle letture portfolio, una selezione derivata da circa 1500 foto tutte scattate rigorosamente con la stessa camera, una Leica M8, che amo per la resa dei colori molto vicina alla pellicola Kodachrome, e ho optato per il formato 4:5 per una composizione meno dispersiva.
Pubblicazioni:
Intervista su Enkester Magazine – http://www.kittesenk.com/luca-rossi/
Leica Camera Italia –
PROGETTO COMPLETO: